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domenica 10 gennaio 2016

§ 187 100116 Storia dello zolfo e dei suoi giacimenti nel comprensorio di Strongoli, Melissa e S. Nicola dell'Alto, L. Sulla.

    ''Dal punto in cui sedevo si può scorgere la strada che sale addentrandosi verso la Sila, oltre Pallagorio. Lun­go i bordi si allineano strani monticelli rotondi, da cui esce del fumo: sono le miniere di quello zolfo scuro che avevo visto trasportare sui carri, per le vie di Cotrone. Mi hanno spiegato che vi sono otto o dieci miniere, sco­perte circa trent'anni fa - grosso errore, perché già se ne fa cenno in testi del 1571 - dove lavorano parec­chie centinaia di minatori. Avevo avuto intenzione di visitarle, ma ora, nel caldo meridiano, esitavo; la di­stanza che mi separava anche dalla più vicina, mi sembrava assurdamente grande e proprio quandoavevo deciso di cercare una carrozza per farmici por­tare (che maledizione la coscienziosità!) un gentilissimo abitante della città mi invitò a pranzo. Supe­rando le mie deboli resistenze, mi condusse in uno stanzone a volta e là, tra il pasto di specialità campa­gnole e la conversazione di sua moglie, tutti i miei progetti svanirono. Invece che le statistiche sullo zolfo, appresi uno stralcio di storia locale.'' E' Norman Douglas che parla, nel capitolo XXXIX di 'Old Calabria' (1915). Ancora una volta uno straniero dimostra di essere certamente non meno preparato - quando non di più - riguardo alla storia della nostra amata Calabria... 'Amata' è ironico, dal momento che troppi sedicenti 'amanti' non si preoccupano minimanente di conoscere la loro terra d'origine (almeno così mi pare di capire).
    Dal sito del signor Luigi Sulla (che non ho il piacere di conoscere) mi permetto di… estrarre (!) le notizie che seguono, con alcune foto annesse, alle quali ultime vorrei dedicare alcune semplicissime riflessioni.
    La storia delle miniere in Calabria, seppur millenaria -si pensi alle miniere di salgemma di Lungro, ad esempio-, mi sembra alquanto negletta e ormai condannata all’oblio, sia quanto a sopravvivenza economica sia quanto a persistenza nell’immaginario regionale. Un’altra Calabria, in pratica, o forse una delle tante Calabrie, che il signor Sulla, nella dedizione al suo paese d’origine, San Nicola dell’Alto, fa rivivere o sopravvivere nelle pagine del suo sito web dedicato alla comunità arbereshe sannicolese.
    Le foto, dicevo: il rimando alla storia dei ‘carusi’ siciliani, per quanti sono al corrente di quella tristissima pagina di sfruttamento italico del lavoro minorile, mi sembra quasi scontato, o comunque di evidenza estrema. Quegli esseri ritratti nelle foto che seguono erano, sono stati, uomini: sembra una ovvietà, ma così non è, e riesce addirittura difficile immaginare esseri umani costretti a lavorare in quelle condizioni e a quelle condizioni sopravvivere. Eppure… quanto ci sarebbe da dire, e da ridire, in questo paese che ha venduto la propria forza lavoro, le proprie braccia, a paesi come il Belgio o la Francia, traendone un ritorno economico innegabile – che sembrerebbe innegabile – e sempre pronto, questo paese di cui la Calabria in qualche modo fa parte, a frignare ma non troppo, a reclamare rispetto ma non troppo, per i suoi figli (figliastri, per meglio dire) in occasione di sciagure come quelle di Marcinelle, Monongah o Aigues Mortes.
    Quelle foto, dicevo… basterebbe una semplicissima notazione, forse. Immaginate il senso del pudore di uomini e donne di un tempo, non solo calabresi, cioè di persone che a fatica si lasciavano vedere ‘scoperte’, per così dire, pudiche fino all’eccesso anche in condizioni estreme di malattie devastanti e di sopravvenuta e affermata senilità: in quelle foto a cadere non sono solo i diaframmi di minerale, ma anche, immagino, quei confini dettati dalla pudicizia e da certa dignità; lavorano nudi, lavorano e basta, come condannati, se non predestinati, ad un altro mondo dal quale riemergere, tornando a rivedere le stelle e a rispettare le norme della vita sociale, ma solo dopo aver adempiuto a quel loro compito durissimo e ai limiti della condizione e sopportazione umana.
   Passiamo a questa parte di storia nostrana della 'guerra dello zolfo', espressione che uso ad arte, per rinfrescare la memoria o stuzzicare la curiosità di quanti volessero interessarsi a quella 'guerra dello zolfo' che vide opposti, nel XIX secolo, il governo di sua maestà britannica e quello di sua maestà il re delle Due Sicilie (tanto, si sa, le guerre finiscono sempre allo stesso modo, mi pare).
   Forse in maniera irrituale mi sono permesso di accostare le immagini di qualche 'pezzo sacro' della scultura mondiale alle foto di quei minatori. Di estrazione dalla materia si tratta, in fondo e comunque. Michelangelo estraeva la perfezione, quegli altri lo zolfo... 
Nota: le foto 'minerarie' sono riprese dal sito del signor Sulla, quelle del David di Bernini e del David di Michelangelo, nonché quella del gruppo scultoreo del Laocoonte dal web.
Nota 1) Per ragguagli sull'andamento demografico vedasi, in questo blog: 
http://originicirotane.blogspot.it/2014/04/statistiche-elementari-sulla-provincia.html
C.A.A.
STORIA DELLO ZOLFO E DEI SUOI GIACIMENTI NEL COMPRENSORIO DI
STRONGOLI - MELISSA - SAN NICOLA DELL'ALTO

   Le ricerche e le notizie che vado riportando sono state estratte dal sottoscritto da un libro scritto dall'Ing. Minerario Attilio Scicli.
    L'Ing. Scicli è stato un profondo conoscitore della morfologia del nostro territorio, egli infatti oltre ad essere stato un profondo conoscitore di idrocarburi, volle scrivere un vero libro sulla storia dello zolfo e delle sue organizzazioni minerarie di tutta l'Italia ed in particolar modo di quelle della Calabria, più specificatamente di quelle dell'entroterra Crotonese. Infatti egli lasciò la sua Bologna per scendere dalle nostre parti e seguire direttamente lo studio delle nostre miniere, delle attrezzature e le organizzazioni di manovalanza del posto.
Fino alla metà degli anni cinquanta, l'Italia è stata se non la maggiore produttrice di zolfo in Europa, sicuramente una tra le prime. Di certo si sa che fino al 1912, occupava la prima in campo mondiale, dopo quella data fu surclassata dall'America che incominciò a produrre fino all'80% dell'estrazione mondiale.
                             
    L'Italia la seguiva lontanissima con il suo 20% di estrazione che veniva effettuato nelle miniere della Sicilia, le quattro della Romagna/Marche, della Campania ed infine quelle della Calabria.
    Le quattro miniere della Romagna/marche curiosamente erano le più ricche del territorio nazionale, infatti da sole riuscivano ad estrarre oltre il 50% della produzione nazionale, mentre le 130 miniere della Sicilia le seguivano al secondo posto e poi di seguito quelle della Campania e poi della Calabria.
    Gli oggetti ritrovati durante i primi lavori di ricerca mineraria, fanno pensare  che la coltivazione dello zolfo abbia avuto origini sin dall'epoca della Magna Grecia, infatti i pezzi di legno, le monete, i cesti ed i vasi di terracotta ritrovati nelle miniere di Calcarella e Santa Domenica, ti portano a dedurre le origini sopra citate. Da uno studio di testi latini, si può dedurre con facilità che già dai tempi di Catone, lo zolfo veniva usato per la difesa dei vigneti, per la schiaritura dei vini, ma soprattutto per sbiancare la stoffa con l'anidride solforosa, ottenuta mediante la bruciatura dello zolfo. Gli antichi romani, mediante fili impregnati nello zolfo, accendevano i fuochi, avvolgevano le fiaccole e creavano mastici per incollare gli oggetti di ceramica.
    Si pensa che l'incremento della produzione dello zolfo sia avvenuto nel periodo in cui s'inventò la polvere pirica, cioè nel XIV secolo circa.
    Tornando ai nostri territori in cui veniva estratto lo zolfo, si pensa che l'estrazione nel territorio di Strongoli, in loc. Comero, sia iniziata verso la fine del 1800. Lo testimoniano le grandi discariche di genisio che si trovavano in tutta la zona circostante. Questo terriccio di origine solforosa, ancora oggi lo si usa per la sistemazione delle strade poderali, in quanto ritenuta molto protettiva durante la stagione delle piogge per salvaguardarle da eventuali formazioni fangose.
    Le prime ricerche furono iniziate in località Quercia nel lontano 1885, dove fu trovato un grosso filone di zolfo di ottima qualità. Si andò avanti nei lavori fino a quando non ci si accorse che qualcuno li aveva preceduti e già sfruttato quel posto. Fu una deduzione facile a convincerli, perché il ritrovamento di grandi vuoti parzialmente riempiti d'acqua davano la testimonianza di altri predecessori. L'industria che si andava a formare nel territorio del Crotonese, procedeva con grosse difficoltà per via della scarsa viabilità che c'era in quell'epoca, infatti quel poco di zolfo che veniva estratto e poi trasportato per mezzo dei muli o carri tirati da buoi fino alle stazioni di Strongoli Marina e Torre Melissa, assorbiva oltre un quarto del prezzo di vendita. Aggiungendo a questo inconveniente, la mancanza di case, di capannoni, di pagliai, di luce e d'acqua, ecco che in tali condizioni, pochi erano coloro che accettavano di andare a lavorare in quelle condizioni. Per colpa del trasporto, la mano d'opera diventava sempre più scarsa e di conseguenza il lavoro sempre più poco efficiente e la produzione di bassissima qualità.

Il gruppo scultoreo del 'Laocoonte': provate ad accostarlo alle foto dei minatori....
   Fino al 1933, l'industria veniva gravata oltre che dalle spese di trasporto, anche dal grosso costo dell'energia che si doveva produrre sul posto, solo in quell'anno si poté disporre dell'energia elettrica.
    Le prime ricerche non furono iniziate da vere e proprie imprese, bensì da poveri operai che munita di sola santa volontà, che con le sole forze delle loro braccia, sfruttarono inizialmente i giacimenti che di volta in volta venivano scovati appena sotto la superficie terrestre. Fu questo poco per volta che incuriosì le prime imprese ad inoltrarsi nell'entroterra Crotonese, e principalmente nei territori di Strongoli, Melissa e San Nicola dell'Alto.
    Gli operai procedevano scavando delle grosse buche, ed una volta trovato il prezioso minerale, senza preoccuparsi di esaminare la sua eventuale estensione, subito lo estraevano per poi trattarlo in piccoli calcaroni che venivano costruiti nelle vicinanze. Questo primo sistema di lavorazione, fece la fortuna di molti piccoli proprietari, i quali approfittando della situazione , cedevano i loro terreni oppure solo il sottosuolo a condizioni sempre più onerose che non facevano altro che appesantire ancora di più il prezzo del minerale estratto.

Una volta che l'estrazione veniva effettuata e lavorata, gli operai non avendo i mezzi finanziari per affrontare la produzione, essi si rivolgevano a finanziatori privati, i quali non facevano altro che offrire loro solo il denaro necessario  per poter ultimare la produzione del minerale. Questi finanziatori si occupavano anche dell'acquisto dei terreni e della vendita dello zolfo che poteva avvenire anche molti mesi dopo la completa lavorazione. Loro non volevano mai sapere nulla sull'andamento dei lavori, la cui condotta era affidata in toto agli operai.  Spesso e volentieri non andavano neanche a controllarli perché sapevano che essendo da loro profumatamente pagati, il lavoro sicuramente veniva svolto nel migliore dei modi. Si fidavano ciecamente di loro fino al punto di trasformarli da esercenti in cottimisti, offrendo loro anche un tot per ogni quintale di zolfo greggio.
    Però, se da una parte, dal punto di vista economico quel tipo di sistema fosse diventato vantaggioso per gli operai, dall'altra si trasformò il tutto in boomerang. I sistemi di sicurezza e di protezione, essendo inesistenti, incominciarono a verificarsi i primi crolli di interi sotterranei, i primi smottamenti e di conseguenza i primi incendi causati dai focolai di grisou, che in Calabria e Sicilia veniva denominato col nome di antimonio.
    In quell'epoca non esistevano leggi speciali che dessero assistenza e sicurezza ai lavoratori, infatti fino al 1893 non ne esisteva alcuna. In Italia esistevano solo alcuni uffici Regionali composti da due o tre persone al massimo, che avevano il compito di sorvegliare sulla sicurezza di vari territori. Quelli della Sicilia e della Calabria dipendevano dall'Ufficio di Napoli. 
    Il primo Ingegnere che portò una certa esperienza mineraria nella nostra zona di Strongoli, Melissa e San Nicola dell'Alto fu un certo Ing. Antonio Nardi che nel 1901 diede una certo risanamento ai lavori sotterranei. Solo nel 1943 s'incominciò a lavorare in profondità, una profondità che non superò mai i 75 metri, e questo fino a quando non si ebbe la disponibilità dell'energia elettrica.
    Gli operai delle miniere di Santa Maria del Comero, Comero e Santa Domenica, erano quasi tutti di provenienza del comprensorio di Strongoli, Melissa, San Nicola dell'Alto, Pallagorio e Verzino, che, insieme all'esperienza di alcuni tecnici siciliani venuti appositamente sul luogo, portarono avanti la manovalanza mineraria. I più apprezzati, secondo l'illustre parere dell'Ing. Scicli, erano gli operai di San Nicola dell'Alto e Pallagorio.
    Secondo una statistica del 1954, la manovalanza estrattiva della provincia di Catanzaro partì dal lontano 1880 con circa 119 operai fino ai 479 del 1954. La punta massima fu toccata nel 1888 con 939 operai ed una estrazione di 18.892 tonnellate di zolfo greggio. La punta minima fu toccata nel 1922 con solo 2 operai ed un'estrazione di solo 58 tonnellate di greggio.
    La formazione delle miniere fu anche la fortuna del Comune di San Nicola dell'Alto, infatti divenne il paese della provincia di Catanzaro con il maggior numero di immigrati. La ricchezza e l'agiatezza regnava sovrana nel paese, il denaro circolava e diversi cittadini da operai incominciarono a realizzare i sogni di imprenditoria nel campo minerario. Si acquistavano facilmente i terreni che davano il via ed una nuova cultura agricola che ancora oggi si porta avanti con tanti sacrifici.
    La metamorfosi di San Nicola dell'Alto incominciò verso la fine degli anni cinquanta, quando con il sopraggiungere della crisi dello zolfo e la chiusura delle miniere, incominciò a trasformarsi da paese di immigrazione a quello di emigrazione.
     San Nicola nel periodo d'oro delle miniere era popolato da molti siciliani che, con la loro presenza, avevano portato oltre che la loro esperienza mineraria, anche benessere all'interno del paese.
    Ora San Nicola dell'Alto, privo delle sue miniere, orfano della loro ricchezza, è diventato il Comune più piccolo della Provincia di Crotone, inteso come territorio.
    Oggi con i suoi 1.721 abitanti residenti è quello che resta di un paese che nel 1901 ne contava 3.417 e nel periodo d'oro delle miniere si aggirava intorno ai 3.600 circa. 
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Dimenticavo, il sito del signor Sulla: http://digilander.libero.it/sannicola.ginosulla/ .




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